Il Maestro, le folle e noi
Articoli - 25 ottobre 2015
Il discorso della montagna
Osserviamo con attenzione la "scena" nella quale viene pronunciato questo lungo discorso di Gesù (i cap.5-7): Gesù, vedendo le folle, salì sul monte (e per questo il discorso verrà chiamato dalla tradizione cristiana "il discorso della montagna"): si pose a sedere e si avvicinarono a Lui i suoi discepoli (sono loro la prima "comunità", la prima "chiesa" che si raccoglie intorno a Gesù). Dunque, ecco "le folle" ai piedi del monte, i discepoli vicini a Lui, e Lui, Gesù! E’ una descrizione che aiuta a cogliere quale sarà il compito e la missione dei discepoli (cioè di tutti noi!) che dovranno portare la Parola, che ascoltano da Gesù, alle folle, che saranno citate nell’ultimo capitolo del Vangelo: "Fate discepoli tutti i popoli" (Mt.28,19). Il Vangelo secondo Matteo raccoglie gli insegnamenti del Signore in alcuni grandi discorsi, di cui questo, sul monte, è il primo. Un discorso che fonda i dati sostanziali della fede cristiana.Io non sono in grado, proprio non ne sono capace (!!), di commentare la Parola che oggi il Signore ci regala! Tenete conto di questo, e custodite e lasciate crescere nella preghiera e nella vostra esperienza quotidiana la meraviglia di queste prime parole! Provo a balbettare qualche piccola osservazione. Innanzi tutto, quell’attributo: "Beati!". E’ la Parola che più efficacemente esprime il dono di Dio. E quindi la vita cristiana come tutta dono del Signore! Tutto è grazia! La "beatitudine" non è una capacità, una conquista, un merito... ma solo e assolutamente la vicenda e la condizione felice di chi viene visitato e riempito dal dono di Dio!
Nella mia poverissima esperienza di fede sono giunto a ritenere che la prima beatitudine è il fondamento di tutte le altre beatitudini, ed è la fonte e il cuore di tutto il Vangelo: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli". La "povertà in spirito" è la povertà radicale e totale. E’ la condizione profonda della creatura umana. E’ suprema beatitudine conoscere, sperimentare e ogni giorno cogliere più profondamente la nostra povertà! Dire "poveri in spirito" vuol dire una povertà che nessuna "ricchezza" può togliere ed eliminare. Ogni ricchezza materiale, spirituale, morale... non può che confermare ed esigere questa "povertà in spirito". Qui lo "spirito" è la realtà profonda della nostra persona. Ed è questa nostra "persona profonda" quella che, per il dono di Dio, ogni giorno, e sempre di più, conosce ed esperimenta questa radicale nostra povertà! E la scopre, e qui siamo all’apice dell’esperienza cristiana, come regalo sublime e supremo, appunto come "beatitudine"!
E come può essere questo legame profondo ed esigente tra "povertà in spirito" e beatitudine"? Perché qui è presente, celato e donato il dono supremo della vita: la fede! Perché la fede è il dono del Signore alla mia e alla tua povertà. Tutta la rivelazione ebraica e cristiana è raccolta intorno a questo principio assoluto: Dio ti ama nella tua povertà, e il suo dono è l’amore per te, povero! Al punto che si può arrivare a estremizzare dicendo che la fede è solo per i poveri! La fede è l’appuntamento che Dio ti fissa là dove sei povero! Dove hai assolutamente bisogno di "essere salvato"! Dio non lo hai incontrato e conosciuto sulla presunta vetta delle tue presunte virtù, ma Lui ti si è fatto conoscere cercandoti e visitandoti nella tua povertà. Mi fermo qui perché non voglio esasperarvi di noia.
Provate, se volete, a fare un ampliamento di orizzonte di questa beatitudine della povertà, considerando con attenzione affettuosa le altre beatitudini, per verificare con sorpresa e commozione che sono tutte volti, vie e modi della beatitudine della povertà in spirito! Se su qualche passaggio trovate inciampi, mandatemi due righe e proviamo a camminare insieme. Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo.
Giovanni Nicolini