Per chi sto vivendo?
Articoli - 6 novembre 2016
Il commento al vangelo di questa domenica
Il Vangelo di oggi ci fa riflettere su una questione essenziale: la fede nella risurrezione. I sadducei, ossia una parte del popolo ebreo, ricca e potente, non credevano alla risurrezione: la loro era una religiosità terrena, ridotta a semplice etica per vivere meglio qui sulla terra. Anche oggi tante persone riducono la fede cristiana a un'etica di vita, a un generico impegno per "non fare nulla di male" (che sarebbe già una gran cosa!), però senza alcuna prospettiva eterna. Ma non si può essere cristiani senza alzare gli occhi al cielo e guardare alla risurrezione, al paradiso, alla vita eterna! Cristo è risorto: ha vinto la morte e ci ha detto: io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me anche se muore, vivrà! Sì, Gesù ha vinto la morte, e ci dona già da ora la possibilità di avere in noi la sua vita eterna e immortale, che alimentiamo con la preghiera, i sacramenti e la carità! A questo punto si capisce meglio perché i sadducei si divertano a mettere in difficoltà Gesù inventando una storia assurda che scaturisce da una legge, quella del levirato (cfr Dt 25,5-6), per cui se un uomo moriva senza figli, spettava al parente più prossimo dargli una discendenza per assicurare la trasmissione dei beni. Ora, di sette fratelli tutti defunti uno dopo l'altro, la vedova, che era stata moglie di tutti, nella risurrezione, di chi sarà moglie? E Gesù dice: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti no...». Che significa? Forse Gesù sta denigrando il matrimonio? Ovviamente no, dato che è un sacramento, una via di santificazione! Gesù innanzitutto fa capire che la vita dopo la morte non sarà solo il prosieguo naturale di quella terrena: si continuerà ad esistere anche dopo la morte, ma in modo nuovo, più bello, dove noi stessi e tutte le relazioni saranno trasfigurate, glorificate (ovviamente se avremo amato). Saremo come angeli, cioè ci ameremo tutti indistintamente, senza essere segnati dai limiti e dai bisogni del nostro corpo mortale e saremo immersi in Dio, nel suo amore, nella Sua gioia, nella Sua pace! Questa è la gioia dei cristiani: la risurrezione! Pensate che nelle catacombe quando i primi cristiani seppellivano il loro caro, mangiavano lì tutti insieme per festeggiare, perché la persona amata era entrata in cielo! Ma possiamo cogliere anche un altro spunto. Gesù, nella sua riposta, distingue tra due modi di vivere e di relazionarsi: quello dei figli di questo mondo e quello dei figli di Dio che sono giudicati degni della risurrezione. I figli di questo mondo prendono moglie e marito; prendono, cioè vivono relazioni segnate dal possesso, dal bisogno di appagamenti affettivi, dalla ricerca del proprio tornaconto, in una parola: vivono per sé stessi. Il loro centro è l'IO. Prendere, consumare, riempirsi, appagarsi... è l'anelito di felicità e di vita che l'uomo senza Dio cerca di appagare nel possesso di cose, affetti, piaceri e successi. I figli della risurrezione invece, ossia coloro che mettono Gesù al centro, vivono da risorti, non secondo la logica del possedere ma dell'amare, dunque del donare e non possono più morire: sorella morte corporale è solo il passaggio alla beata vita immortale! Perché Dio è il Dio dei vivi, non dei morti: chi lo cerca e vive in comunione con Lui, è e sarà vivo per sempre! Quanta differenza nelle famiglie, nei fidanzamenti, nelle amicizie, nel cuore dove c'è il Signore e dove invece non c'è! E ricordiamo: chi ha una ragione per morire, ha anche una ragione per vivere! Gesù dunque ci interpella sulle motivazioni del nostro vivere: per chi e per che cosa vivo io qui ed ora? Qual è la mia meta? Sono capace di amare e di essere amato? Cerco di mantenermi in dialogo, in comunione con Dio, specialmente attraverso i sacramenti e la carità, sapendo che è da Lui che ricevo la vita eterna e l'immortalità?